Parlare nel 2020 di diritto alla giusta paga in merito alle differenze tra lavoro maschile e lavoro femminile rientra tra i fenomeni di “normalizzazione” retorica a cui stiamo assistendo da anni a proposito di quello che succede in società. Saremo politicamente scorretti cercando di spiegarlo meglio, e ci perdonerete per questo, ma si pensi già solo alle serie Netflix: non c’è serie televisiva che venga ben venduta se non ci sia un ne(g)ro, un gay, una cicciona o una mamma single che ha preferito la carriera al marito, b***h. E noi oggi vorremmo ben vendere una nuova serie di approfondimenti in merito alle carriere, partendo proprio da quelle femminili.
In questo articolo, quindi, facciamo il punto della situazione per poi concludere con la riflessione di una delle nostre recruiter.
Attenzione: articolo politicamente scorretto
Di pay gap e pay equality, per tornare a sigle eleganti e di moda, se ne parla da anni, eppure quando una professionista donna cerca di affermare la propria carriera anche attraverso il diritto ad una retribuzione pari a quella di un suo collega uomo allo stesso livello è subito caccia alle streghe.
Ecco perchè oggi, venerdì 13, il giorno dedicato alla pena delle donne che hanno cercato di liberarsi dall’oppressione sociale e che sfortunatamente sono poi però state messe al rogo per stregoneria – da qui l’appellattivo di Giorno Sfortunato nella cultura popolare – abbiamo deciso di rispolverare l’argomento e soffiare via un po’ di cenere. Scusateci, oggi non riusciamo proprio ad essere politicamente corrette!
Intanto, per chi volesse conoscere meglio l’argomento, consigliamo la lettura del famoso Martello delle Streghe, testo “scientifico” dell’epoca medioevale, che ha permesso, grazie al potere temporale, che l’uccisione di così tante donne potesse avvenire.
Come le donne vengono spinte a rifiutare la carriera
Può sembrare assurdo pensare che le donne “rifiutino” la carriera; la normale retorica sull’argomento vede la decisione di non accettare un posto di lavoro o di abbandonare del tutto il proprio percorso professionale come una scelta personale, fatta di frequente per dedicare il proprio tempo alla famiglia. Questa responsabilità è infatti ancora oggi per la maggior parte a carico delle donne, che nel 38,3% dei casi si ritrovano a modificare aspetti professionali per conciliare lavoro e famiglia, a fronte di solo l’11,9% di uomini che si trova nella stessa situazione. Ma siamo certi che sia solo il carico di lavoro a spingere le donne verso la sfera familiare?
Dai dati emersi da un Osservatorio Internazionale sul Pay Gap emerge come il “soffitto di cristallo” rappresenta infatti ancora un limite importante per l’accesso delle donne a posizioni manageriali o di leadership. Ma le differenze non si vedono solamente in fase di crescita professionale, ma anche nell’accesso ai percorsi lavorativi. In un articolo pubblicato di recente sull’American Economic Review, vengono presentati una serie di pregiudizi diffusi sulle donne in ambito lavorativo, che vanno fortemente ad influenzare le probabilità di assunzione, le retribuzioni e, di conseguenza, le probabilità di promozione. In particolare, la letteratura sull’argomento dimostra come la stessa caratteristica produttiva porti a minori probabilità di assunzione e promozione quando a possederla è una donna (Il Sole 24 Ore, 2019). Questi stereotipi incidono quindi sull’inserimento delle donne nel mondo del lavoro già nelle fasi della selezione, rendendo quindi più difficile alla componente femminile non solo accedere a posizioni manageriali, ma anche ottenere una qualunque posizione lavorativa, vedendosi spesso sorpassate dai loro colleghi maschi.
E non finisce qui: quando anche accade che una donna riesca a superare le fasi del percorso selettivo, si ritrovano comunque a percepire di meno rispetto agli uomini, confermando un pay gap che continua ad avere un trend in crescita in questi ultimi anni, come riportato dai dati dell’Osservatorio Internazionale sul Pay Gap.
In qualunque posizione lavorativa, lo stipendio medio di un uomo risulta essere il 19% più alto rispetto a quello della sua controparte femminile. Questo non dipende da differenze riguardo alla tipologia di lavoro, settori o formazioni: il paragone tra tipologie di lavoro simili mostra infatti come le donne guadagnino 0.98$ per ogni dollaro guadagnato dagli uomini, mettendo in luce come una donna che svolge lo stesso lavoro di un uomo, con le stesse qualifiche e le stesse competenze riceva comunque un compenso inferiore per la sua prestazione.
E in Italia a che punto siamo? Considerando i dati ufficiali (vecchi e obsoleti) e a qualche residuale articolo sui quotidiani generalisti che ogni anno vengono riscritti, si percepisce scarso interesse ad aprire un serio confronto su questa situazione.
Stando ai dati ISTAT di un report del 2014 sul reddito, il trend mondiale sembra confermato anche per i Paesi nell’Unione Europea: se si confronta la retribuzione lorda oraria media, le donne hanno guadagnato il 14,8% in meno degli uomini, con una differenza ancora più ampia nella paga oraria nelle fasce manageriali, in cui le donne arrivano a percepire il 23% in meno.
In questa situazione, non è difficile comprendere come la scelta di disinvestire sulla propria carriera non nasca solo dalla volontà di concentrarsi di più su altri aspetti della propria vita. Stressate da questa continua caccia alle streghe, nello sforzo continuo di dimostrare di valere tanto quanto la controparte maschile e di tentare di mettersi al passo con la loro retribuzione, le donne finiscono spesso per dichiararsi inconsapevolmente sconfitte da questa sfida e scegliere “spontaneamente” di dedicarsi, unicamente o quasi, alla sfera familiare.
Da selezionatori, ci troviamo spesso ad affrontare questi temi ad aziende e professionisti; ecco perchè abbiamo chiesto ad Elisa, Recruiter e, per di più, donna, di condividere il proprio pensiero sul gender gap e sul pay gap.
Una riflessione sulla disparità di genere nel 2020: Elisa Fossi, recruiter SCR
Non è facile nel 2020 scrivere un articolo sulla disparità di genere.
Non è facile soprattutto essendo donna e leggendo sempre più spesso articoli sull’argomento che portano alla luce nuovi modi in cui tale disparità si dimostra ancora oggi presente nella nostra società. Da una parte è bello vedere come sempre più tali fenomeni vengono scoperti e divulgati ma brucia ancora di più perché ci ricorda costantemente della lettera scarlatta che ciascuno di noi si porta appresso da tempi incredibilmente lontani.
Siamo a Novembre e oggi è Venerdì 13, che per chi non lo sapesse è anche ricordato come il giorno delle streghe. Ed è proprio da loro che parte questa riflessione e dal ricordo di come centinaia di anni fa fosse completamente legittimo perseguitare delle donne perchè tacciate di stregoneria. Ma chi erano queste fantomatiche streghe?
Per lo più donne sole, che per motivi familiari non potevano “godere” della protezione di altri uomini. Donne ribelli, che, in una società in cui la sottomissione all’uomo era la sola via, tentavano di dire la loro e di non tacere. Donne lavoratrici o che in qualche modo volevano avvicinarsi a professioni a loro precluse, come ad esempio la medicina. O semplicemente donne che si interessavano troppo a materie che spettavano di diritto solo a uomini.
Di certo la cosa che avevano in comune era il fatto che con la loro presenza e il loro essere diverse dalla massa diventavano una minaccia per lo status quo e questo ha portato alcuni stimati uomini dell’epoca a sentirsi legittimati di marchiare tali donne con il simbolo della stregoneria e metterle a tacere per sempre.
Ma del resto chi ci pensa più a questi avvenimenti, giusto? Si parla di una cosa talmente surreale da essere considerata una sorta di periodo un po’ pazzo in cui ancora si credevano a miti e leggende fantastiche. Eppure ancora oggi se ci si guarda intorno non è difficile immaginare quali donne all’epoca sarebbero state tacciate di stregoneria. E banalmente recentemente giornali e serie tv di successo riportano a galla certe tematiche.
La regina degli scacchi, La fantastica signora Maisel, Unorthodox sono solo alcune delle serie tv in cui la protagonista è una donna che esce dagli schemi e si trova a sbaragliare un contesto chiuso e dominato da soli uomini. Ed è quindi evidente come ancora oggi questo sia uno dei temi che affascina e sorprende di più. Ma facendoci caso, il fattore di attrazione di tali show sta proprio nella singolarità e nel contrasto che volutamente viene enfatizzato tra uomo e donna. Tra una donna sola che va contro corrente ed una società di donne e di uomini che invece in qualche modo le rema contro. Come a significare che ancora oggi non c’è niente di normale in una donna che diventa campionessa di scacchi, una donna che diventa una famosa cabarettista negli anni 50 o una donna ebrea ultra-ortodossa che vuole studiare pianoforte.
Ma non c’è da stupirsi, quante volte leggiamo articoli su donne dall’incredibile talento che accedono a cariche importante in cui viene enfatizzato quasi unicamente il loro essere donna e che cosa significhi essere lì per una donna? O come hanno fatto a raggiungere un certo tipo di status. Quante volte giornalisti conducono interviste imbarazzanti a donne dello spettacolo facendo domande che non si sognerebbero mai di fare a personaggi maschili? O quante volte durante un colloquio di lavoro vengono fatte domande a donne che non verrebbero mai fatte ad un uomo? Probabilmente troppe.
Ci sono ancora tantissimi problemi da superare, riguardanti la differenza di genere sul luogo di lavoro, come in tantissimi altri ambiti. Basti pensare alla difficoltà delle donne nell’accedere a posizioni di potere perché considerate troppo emotive, quasi come se fossimo bombe instabili pronte ad esplodere, o ancora le differenze salariali che vanno a rimarcare come il lavoro di una donna abbia meno valore di quello di un uomo. Per non parlare poi delle nuove difficoltà emerse durante questa pandemia che hanno reso ancora più evidente come la donna, per quanto lavoratrice, ancora oggi è considerata la principale responsabile dell’educazione e della crescita dei figli, con tutte le difficoltà annesse alla chiusura delle scuole e allo “smart working”.
Con questo non voglio dire che non ci siano spiragli di miglioramento, anzi, il semplice fatto che oggi si parli di certi argomenti è di per sé una vittoria per tutte le donne. Se volessimo, però, sognare in grande sarebbe bello pensare che tra qualche anno, si spera sempre pochi, proprio di Venerdì 13 Novembre ci sarà un’altra donna intenta a scrivere un articolo e non sentirà affatto la necessità di scrivere ancora della diversità di genere. Non perchè sarà un fenomeno dimenticato ma perché non ci sarà più bisogno di parlarne.